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covid Diana 7 di f
ognuno
ognuno gli aveva insegnato dato qualcosa

lei se non aveva il foglio aveva la parola chiave, legata alla sua memoria, non era un percorso già fatto, ma un incipit, una partenza per rinnovare la luce,
uno gli aveva detto che non era malata e quindi il fatto che scrivesse ovunque, non era sintomo di malattia, ma di qualcosa che la distingueva dagli altri, e di cui doveva accentuare la caratteristica.
degli altri che aveva studiato e di cui si era autodocumentata
uno che si girava un film in testa, per poi materializzarlo sul foglio
e l'altro ancora, che viveva per scrivere quello che viveva
alla base l'omino che cammina, come tanti, e poi si trova sull'albero
ne aveva cura, nel testo totale e nei piccoli pezzi che lo componevano, delle parole, la grandezza dopo tutto era fatta di piccole cose, le lallava le parole, le assaporava, le materielizzava
anche se non capita, non le interessava esserlo, non si contraddiceva, anche se sembrava lo facesse nei primi testi con il grembiule
ora non c'era il treno con le rondini che lo seguivano durante il viaggio, le quali non riescivano a stargli dietro, ora quando sembrava non essere capita, te la dovevi andare a studiare e capirla, anzi si compiaceva del fatto che tu non la capissi e poi la capissi per averla studiata, perché induceva a pensare, all'esercizio del grigio,
se il dito stava sul foglio, il foglio era digitale, non doveva spiegarlo, anche se non pensava mai di poter arrivare a Miro', che attaccava una caccola sul muro ed era un opera d'arte, e nessuno chiedeva per non sentirsi stupido, quello sarebbe stato il lusso maggiore cui anelava, nell'omissione la parola, nello spazio la luce
© austin